ali per volare avendo dimenticato come fare, ali troppo corte per chi vola già alto, ali certe volte poco usate ma sempre Ali e tu pollo niente potrai senza loro nulla vale.

lunedì 27 novembre 2017

Ep. 1 - Uno dei molti

Ero in quell'ufficio da giorni, molti giorni, così tanti da perderne il conto; pensarli come anni aumentava la mia sensazione di opprimenza con cui convivevo da molti giorni, gli stessi.
Avevo un gruppo di colleghi impegnati in una riunione alla scrivania di uno di loro a due passi da me e questa abitudine era una di quelle su cui si ironizzava spesso, sembrava che organizzare riunioni alla scrivania che minavano la concentrazione degli altri fosse un atteggiamento di seria professionalità.
Quando il lavoro non ci sovrastava e riuscivamo ad organizzarci c'era tempo per perdersi tra i pensieri e siti web o progetti per il futuro. Nei momenti in cui non controllavo le offerte di lavoro leggevo articoli che riguardavano nuove tecnologie, scienze o economia digitale e cryptovalute.
Potrei anche ricordarmi cosa stavo pensando in quel momento ma non era niente di diverso da qualcosa pensata nei giorni precedenti, uno dei molti.
Un difetto nel processo lavorativo stava alimentando agitazione tra i colleghi più vicini, quelli con cui condividevo le sorti ma oggi non ero dell'umore giusto per lasciarmi coinvolgere.
Bull era il collega con cui avevo più confidenza e sapevo come la pensava in questo momento, avrebbe usato un'espressione colorita per definire il fastidio che aveva nel venire coinvolto per ogni minimo problema. E' sempre stato una dicotomia vivente, pacifico e aggressivo, intollerante e paziente, riuscivamo sempre a ridere di battute goliardiche, blasfeme o ironiche.
Era interrogato a domande alternate da Dawn e Wood, il primo aveva la guida del gruppo ed era sempre interessato ad ogni tipo di problema, il secondo era un metodico che l'ansia rendeva spesso troppo rigido ma era anche un uomo di esperienza che gli concedeva qualche trattamento di favore sul piano caratteriale.
Una telefonata in entrata sul cellulare mi aveva permesso di staccarmi per qualche minuto da quella scena, chiusa la conversazione mi accorsi che la giornata di lavoro era vicina alla sua conclusione, indizio confermato da alcuni colleghi, i più mattinieri, che con cappotti e giacche si dirigevano all'uscita.
Un saluto all'amichevole Sonny che stava uscendo con Ralph, quei due erano sempre insieme da anni anche quando li avevano inseriti in gruppi diversi si aspettavano a vicenda. Un fugace sguardo con sorriso a June, una ragazza riservata ed esotica che della sua scarsa apparenza ne faceva una forza, stava salutando tutti mentre abbandonava la sua postazione per quel giorno.
Ci sono uffici silenziosi ma il nostro non era proprio uno di quelli, almeno fino a quest'ora in cui mentre dimuniva il personale in servizio aumentava la tranquillità e il silenzio di sottofondo sostituiva il rumore.
Dawn era il primo ad andarsene quasi ogni giorno, era anche il primo ad arrivare nella maggior parte dei giorni ma vederlo fare tardi era un evento raro.  Aveva l'abitudine di spegnere il portatile e alzarsi per rassettare le sue cose iniziando ogni giorno un discorso a caso su una notizia di cronaca o un pettegolezzo aziendale, non c'era argomento in cui non avesse argomenti, non c'era ragione con cui farlo ragionare nemmeno quando prendeva posizioni estreme e poco corrette in un ambiente diplomatico come tendeva ad essere l'ufficio.
Quel giorno il cambiamento della normativa interna sulla malattia lo aveva stimolato con un'euforia sarcastica a cui eravamo abituati ma che difficilmente qualcuno gradiva. Ovviamente era un esperto di regolamenti e l'argomento almeno questa volta interessava un po' a tutti; quando Wood era euforico non controllava bene il tono della voce e la sua risata ricordava quella di un personaggio dei cartoni animati di quando eravamo bambini.
Una battuta ai limiti del razzismo non era riuscto ad evitarla quando la collega asiatica con la mascherina bianca medica passò lungo il corridoio alla sua destra. Qualcosa sulla paura per "quelli come lei" di prendere malattie era scivolata tra il gelo e i sorrisi di circostanza.
L'ora successiva passò tenendoci immersi nella risoluzione del problema che aveva causato la riunione precedente, con pochi interventi precisi ci eravamo evitati di saltare la cena e finire tardi, non che fosse presto ma avevamo finito molto prima di quanto ci aspettavamo.
Avevo raggiunto la mia auto e con la pazienza quotidiana, la poca rimasta dopo una giornata di lavoro mi ero messo nell'High-ring, una strada a scorrimento veloce quando non era intasata dal traffico, tre corsie per senso di marcia e alcune sere sembravano la metà di quelle necessarie.
La radio dopo una hit di queste ultime settimane passava il notiziario, ascoltavo con indifferenza che due capi di stato si sfidavano sfottendosi come adolescenti minacciando una guerra che avrebbe sconvolto il mondo. L'ex primo ministro attaccava quello attuale sulle tasse, due casi di una nuova dermatite contagiosa sotto osservazione in un ospedale della città, i livelli di inquinamento oltre la soglia richiedevano il blocco della circolazione e la notizia finale era sportiva, l'allenatore della squadra locale era sotto accusa per i risultati ottenuti e per questo non avrebbe mantenuto il posto ancora a lungo.
Un altro giorno era passato, uno dei molti, mentre l'ascensore arrivava al piano mi sentivo più leggero, ogni sera nonostante la stanchezza tornare a casa mi faceva sentire di ricominciare a vivere come volevo
Girai la chiave e uno dei molti divenne un'altra sera unica.



giovedì 5 ottobre 2017

Chi sei?

Un breve capitolo, anche meno, censurato per il blog per ovvi motivi dal racconto complessivo...ma chi vorrà leggere tra le righe capirà.

Aprii gli occhi con poca voglia, la scarsa luce mi colpì comunque e li richiusi stringendoli di più.
Il viso dalla rilassatezza del sonno iniziò ad assumere smorfie. Il fastidio di essermi svegliata era pari al piacevole torpore lasciato dal sonno profondo.
Riaprii gli occhi e ritrovai il solito cielo, un arazzo che costituiva il baldacchino sotto cui dormivo ogni notte da più di quanto riuscivo a ricordare. Al risveglio trovavo sempre nei vari ricami qualche forma di animale o di viso distorto che da bambina immaginavo fosse qualche Spirito che voleva parlarmi.
Le braci nel caminetto avevano ancora il colore del tramonto ma non riuscivo a sentirne il calore anche se non avevo intenzione di muovermi per riattizzarle.
 Mi stirai allungando braccia e gambe e fu in quel momento che ebbi il lampo di un ricordo, un'immagine di qualcosa di vissuto o di sognato così rapida che non riuscii ad afferrarla, solo a rimanerne infastidita.
Mi allungai per tirare la maniglia di legno che era legata al filo appeso sul muro alla destra del letto e che proseguendo dopo una piccola carrucola raggiungeva una campanella che avrebbe richiamato l'attenzione di una delle serve. Un altro lampo nella mia testa mi diede una visione che durò meno di un secondo ma più lunga della precedente, vidi il mio braccio legato con una corda che tirava il polso. Scossi la testa per convincermi che mi ero immaginata tutto e con molto fastidio tirai tre volte il campanello.
<< Buongiorno Signorina Edena, avete dormito bene stanotte? La Dea dal manto stellato Vi ha concesso sogni gradevoli? >> era Melania la più adulta tra le giovani della servitù e la più educata, aveva una decina d'anni più di me, forse meno, e aveva sempre un modo di parlare adeguato che rendeva difficile trovare qualcosa da dire sul suo operato, stamattina poi sembrava anche più adulta.
<< Lo sai che dimentico spesso i sogni notturni, forse per questo continuo a farne ad occhi aperti. >>
La serva stava facendo riprendere il fuoco e subito dopo andò ad aprire tende e scuri per far entrare la luce del giorno.
<< Che ore sono? >>
<< Quasi mezzogiorno mia Signora. >>
<< Di un'altra giornata inutile. >> aggiunsi annoiata
<< Mia nonna diceva che il tempo non è mai inutile, è come lo spendiamo che gli da valore. >>
<< Tua nonna deve essere stata molto saggia ma non deve aver mai vissuto in attesa di diventare una nobildonna, nè doveva rispettare stupide regole di etichetta o vedere giovani imbranati che ti vengono proposti in matrimonio solo perché figli di qualcunno con cui tuo padre vuole mantenere rapporti di alleanza.>>
Melania emise un risolino, io una smorfia seccata, gettai le coperte in fondo al letto quando arrivò la terza visione, questa volta più di un lampo. Ero su quel letto ma senza vestiti, ogni mio arto era legato come nella visione precedente, ero sudata e terrorizzata anche se un attimo dopo ero ancora in camera con Melania al sicuro. Non potevo più ignorare quello che stava accadendo, non mi ero mai svegliata avendo visioni come quelle, non le avevo mai a dire il vero. Mi osservai i polsi e le caviglie per vedere se portavo dei segni ma non ne vidi, era stato sicuramente un sogno che mi stava tornando in mente in modo strano e intermittente.
Ora avevo caldo, soprattutto a stare sdraiata sentivo caldo dalle spalle al fondoschiena, mi stavo agitando per un sogno e mi sembrava molto infantile anche se non riuscivo a farne a meno.
Mi alzai e andai vicino alla bacinella di acqua, mi rinfrescai il viso per togliermi un po' di calore e mentre mi passavo le mani sugli occhi mi vidi bendata con le mani in avanti a cercare qualche appiglio, senza sapere chi c'era vicino a me ma certa che ci fosse qualcuno.
Da sotto la benda potevo vedere i miei piedi e la linea del mio corpo nudo e rigido dalla paura.
Aprii gli occhi ancora prima di asciugarli per ritornare alla realtà della mia stanza.
Se fossero state visioni e non un sogno probabilmente mi avrebbero mostrato il futuro. Allontanai il pensiero con tutte le forze.
Melania aveva portato in camera una teiera ancora calda con una tazza e dei biscotti oltre che una fetta di crostata con marmellata di pesche. Aveva aperto l'armadio chiedendo se doveva aiutarmi a vestirmi ma rifiutai con un gesto. Stava iniziando a dedicarsi al letto, il fuoco riattizzato con dei piccoli pezzi di legno iniziava a crepitare e a scaldare una parte della stanza.
Mi avvicinai allo specchio, un rettangolo messo in verticale che ad un metro di distanza mi permetteva di vedermi dalla testa alle ginocchia, immerso in una cornice dorata e lavorata che rappresentava un intrico di fiori e piante con foglie d'edera o di vite non era ben chiaro.
Mi aspettavo o forse speravo di trovarmi con il viso sbattuto ma niente il mio aspetto era quello di tutte le mattina normali, anzi mi venne spontaneo un sorriso accattivante ed ero abbastanza compiaciuta di quello che vedevo, mi sentivo una donna e non una ragazzina.
Rimasi lì in piedi per sfilarmi la camicia da notte, con le braccia la tirai verso l'alto e vissi un'altra visione, ero in lacrime con le mani unite e incatenate in alto, non riuscivo a vedere a cosa ero appesa.
I piedi toccavano il pavimento freddo sia nel sogno che nella realtà. La pelledoca che mi percorse era un'esclusiva della temperatura mattutina perché in ciò che la mia mente vedeva avevo molto caldo, il camino e i bracieri erano vivi e anche se non sentivo dolore ero sicura che la mia pelle bruciava, potevo sentire i colpi della frusta che aveva baciato la mia carne. Ero certa che non avrei potuto sdraiarmi per diverso tempo e nemmeno sedermi.
Ero ancora bloccata tra ciò che vedevo e ciò che vivevo quando un urlo trattenuto di Melania mi fece capire che qualcosa non andava.
Mi girai per trovarla inorridita e spaventata, mi indicava con un indice tremante e gli occhi sbarrati.
Se non fossi stata così sconvolta l'avrei fatta riprendere con due ceffoni anche se mio padre dice di non maltrattare la servitù.
<< Si...Signo...rina, la Vostra schiena.>>  è quello che farfugliò la domestica.
Mi girai verso lo specchio a guardare.
Cicatrici.
Arrestai il respiro senza saper decidere se gridare o piangere.
Un reticolo di linee per lo più orizzontali ricopriva la mia schiena, si intersecavano con casualità ma non erano segni di graffi o tagli erano cicatrici lasciate da una frusta.
Scelsi di gridare.
<< Sacri Dei come è possibile? Cosa è successo? Ieri non le avevo! >>
Lo dissi anche se ero consapevole che Melania non avrebbe avuto risposte anzi di lì a qualche minuto avrei dovuto preoccuparmi di farle mantenere il silenzio. Per mia fortuna era lei e non una delle domestiche più giovani che ne avrebbero parlato per tutto il giorno.
Non sentivo dolore, sembravano cicatrici che erano lì da tempo, anche più di un anno.
Continuavo a pensare cosa avrei potuto fare per farle andare via, a chi avrei potuto mostrarle per cercare una cura o una spiegazione.
<< Cosa può essere? Sarà una malattia? Una maledizione? >> avevo la voce che tremava di un misto tra paura e disperazione.
Nello specchio di fronte a me vidi come se il mondo attorno stesse cambiando e io ne fossi il centro.
La mia immagine rimaneva uguale ma al posto del riflesso della mia stanza vidi un pavimento lastricato con un tappeto rosso consunto a coprirne gran parte, fumo che formava disegni attorcigliati che proveniva da dei bracieri. 
Cercai di farmi forza e continuare ad osservare perché solo così avrei potuto capire cosa mi era successo anche se avrei voluto chiudere gli occhi e buttarmi a piangere sul cuscino.
Nella finestra sull'altro mondo che era lo specchio vidi la punta di un paio di stivali apparire in un angolo, non riuscivo a vedere chi li indossava, vedevo solo che erano cuoio nero.
Vidi la mia espressione riflessa nello specchio di puro terrore che saliva dalle mie viscere, non mi era chiaro se ero io davvero ad avere quella espressione o solo la mia immagine
Vidi la figura con gli stivali neri fare un passo avanti e mi sentii come perduta, pensai che stessi per svenire, vedevo la paura nel mio volto anche se non potevo sentirla, sentivo invece una sorta di rilassatezza, come quando ci si appresta ad abbandonarsi pochi istanti prima di un ineluttabile evento.
Ora era chiaro, stavo avendo una visione del futuro, doveva per forza essere una forma di veggenza che mi stava avvertendo di qualche tragica situazione da evitare. Avrebbe potuto essere anche follia ma non mi sentivo folle, mi sentivo sempre più consapevole...

Guardavo dallo specchio una camera luminosa e pulita, ero in lacrime, qualche parte di me bruciava ma non sarei in grado di dire dove o perché, pensavo solo che non avrei dovuto trovarmi lì.
Il fumo era denso nei miei respiri affannati, i polsi mi facevano male, erano rigati dalle polsiere in cuoio che li trattenevano, i pochi passi che dividevano il mio carceriere da me echeggiarono come tuono. I miei occhi spalancati e bagnati da lacrime fresche cercavano in quella camera da letto luminosa e pulita. Come avrei voluto essere lì ora.
Apparve per un attimo una donna, una serva era affaccendata a riordinare, aveva l'aspetto maturo e vispo e sebbene non la conoscessi mi sembrava un viso familiare.  Il corpo di un'altra donna mi coprì la visuale dello specchio, stava specchiando la sua schiena, liscia e rosa con delle leggere striature che da lontano potevano sembrare dovute a pieghe lasciate dalle lenzuola.
Sentii come se mi avessero appoggiato un ferro infuocato alla base della schiena e urlai, mi resi conto non avevo sentito sfrigolare né l'odore della carne bruciata, ero stata colpita con qualcosa di flessibile, la frusta,  e non era la prima volta.
Le donne aldilà dello specchio non sentivano i miei lamenti e le mie richieste di aiuto, come potevano sentirle? La donna si ricoprì la schiena e si girò mostrandomi il mio viso con qualche anno di più...